Il taglio dell’Ici non convince

Silvio Berlusconi, Presidente del ConsiglioConfedilizia critica l’intervento governativo. Che non rispetta il programma elettorale, appare condizionato dall’esecutivo precedente e non soddisfa le esigenze della parte sociale interessata. Quella che paga.
Confedilizia ha espresso con fermezza il proprio parere critico sul taglio dell’Ici prima casa deciso dal Governo. La ragione è che, per come è formulato, tradisce il programma del Partito delle libertà. ‘Totale eliminazione dell’Ici sulla prima casa’, diceva quel programma. Passato poco più di un mese dalle elezioni, s’è presa un’altra strada, quella tracciata da Prodi per la sua riduzione dell’Ici.
Niente più ‘totale eliminazione’, ma esclusione dal taglio delle abitazioni accatastate in A1 (‘abitazioni di tipo signorile’), in A8 (‘abitazioni in ville’), in A9 (‘castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici’). Abitazioni definite tutte ‘di lusso’ persino nel comunicato stampa ufficiale della Presidenza del Consiglio, quando si sa – e la Confedilizia lo aveva tempestivamente segnalato al Governo – che gli immobili di lusso sono individuati nelle loro caratteristiche da uno specifico provvedimento (D.M. 2.8.1969), che le abitazioni ‘signorili’ possono essere accatastate come tali in una zona censuaria e in un altro modo in un’altra zona e che castelli e palazzi storico artistici sono un ‘debito’ da mantenere, più che un lusso da esibire.
L’essersi fatti condizionare dal criterio di classismo ideologico e giustizialista del passato Governo, seguendone le discriminazioni tra casa e casa, è tanto più grave dato che gli immobili interessati sono solo 75 mila circa in tutta Italia. Soprattutto, il condizionamento che ha gravato sul nuovo Governo ha tolto alla riforma dell’Ici prima casa la carica innovatrice che aveva nel programma elettorale del Pdl: nella sua drastica previsione, infatti, quel programma è stato interpretato dalla proprietà immobiliare come una presa di posizione contro il tributo in sé; un tributo che si sarebbe cominciato a eliminare in un intero settore, quello della prima casa.
L’aver separato da casa a casa, però, ha fatto pensare ai più che si sia invece trattato di una mera scelta elettorale, disgiunta da ogni impostazione culturale di ampio respiro e, soprattutto, di generale riordino della fiscalità immobiliare. Se l’Ici è, come è, un’imposta patrimoniale, essa è anche un’imposta progressivamente espropriativa. Ma non si può, allora, ammettere che essa sopravviva addirittura in parte del settore abitativo: di quel settore dal quale si è cominciata una ‘bonifica’ che si riteneva avesse più ampi traguardi, sia pure nei tempi consentiti dalle attuali contingenze della finanza pubblica.
Oggi, dato che la si è voluta in parte lasciare in piedi, l’Ici è dunque un’anatra zoppa a più titoli. Confedilizia opererà quindi perché in Parlamento l’anatra, quantomeno, cessi di claudicare in modo macroscopico nell’immediato, in attesa che arrivino le feste e che la si possa far fuori del tutto, così da servirla in tavola sul piatto della giustizia e dell’equità. Perché non è né giusta né equa – tale, quindi, da indurre alla sua spontanea osservanza e rispetto – un’imposta patrimoniale ordinaria: un corpo estraneo rispetto al nostro ordinamento tributario e rispetto, anche, ai tributi locali istituiti all’estero.

In Francia, per esempio, il tributo corrispondente all’Ici colpisce il valore locativo, mentre negli Stati Uniti finanzia solo le spese scolastiche. Da nessuna parte del mondo, insomma, un tributo patrimoniale ordinario è un pilastro della fiscalità generale. La nostra Ici è per questo l’esatto contrario del federalismo fiscale, dove si vota con le gambe, scegliendo dove risiedere. Ma da noi, come si può votare con le gambe se il ‘federalismo’ si basa paradossalmente sugli immobili (che sono, appunto, immobili per natura) e il tributo patrimoniale non finanzia uno specifico servizio, come in America? Tutto da rifare – dando voce, anziché discriminarla, alla parte sociale direttamente interessata, quella che paga, invece di sentire solo quelle che predicano che sono gli altri a dover pagare – magari in parallelo con la riforma del Catasto in senso reddituale che, insieme alla cedolare secca per i redditi locativi, costituisce l’altro impegno presente nel programma del Pdl.

Fonte: Attico Informa, articolo di Corrado Sforza Fogliani

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